Rientravamo verso l’albergo, era tardo pomeriggio, superammo le auto in fila in attesa del voiturier proprio davanti all’ingresso del nostro hotel.
Mentre camminavamo spediti mi disse che sarebbe salito in camera a riposare, gli risposi che sarei andato verso la piscina.
Ci salutammo nella hall, entrò nell’immenso ascensore elegante come un attico e mi fece un sorriso come per dire pensaci tu, sapeva che non sarei stato solo.
Eravamo veramente amici, come Corto Maltese e Rasputin.
Esploro il parco sul mare, una ricostruzione di una spiaggia con una piscina a fondo sabbioso bianco e acqua salata riprodotta su una ampia piattaforma installata su una scogliera bassa, quasi che la piscina e il Mediterraneo fossero tutt’uno.
Poche persone sui lettini, una signora con un elegante pezzo unico nero ed oro che parlava con la figlia e poco più distante, ad un tavolino, due donne con abiti islamici e più bambini intorno a loro, poi un terzetto più attempato che discuteva fitto, il bagnino, un cameriere e un uomo in costume a consumare gli ultimi spiccioli di sole di un pomeriggio di agosto.
Guardai in alto e in quel momento mi accorsi che il mio amico era sul terrazzo, rientrò subito.
Mi sedetti ad un tavolino tra le alte piante ben curate di quel raffinato giardino e presi il cellulare per scrivere un articolo da inviare in redazione.
Si, spesso scrivo gli articoli sul cellulare, soprattutto quando voglio osservare il mare, riesco a farlo, probabilmente non guardo i tasti, vado a senso, al ritmo delle onde e del vento.
Scrivevo eccitato dalle parole che mi uscivano veloci, concentrato su quel testo che scivolava vivace sul display e che era semplicemente già scritto su quel cielo o su quel mare.
Ordinai un Mojito, con molta menta.
Mi interruppi, calai gli occhi sul display, qualche minuto di esitazione.
«Ciao scrittore». Una voce femminile dietro di me.
Si fece avanti, la guardai.
«Ciao, da quanto tempo, non ti avrei mai pensata proprio qui».
Mora, sui trent’anni, anzi capelli nerissimi, sguardo fisso, intensamente puntato nei miei occhi, un vestito di maglina nero corto attillato e tacchi alti, bella come il desiderio.
Mi alzai e la invitai a sedersi.
Si accomodò elegantemente e comparve il cameriere a prendere il suo ordine.
Decisa prese anche lei il mio drink.
«Ti disturbo vero? Stai scrivendo».
«Verbalizzo il nostro incontro, non ho idea migliore, credo che sia una ispirazione provvida».
Parlammo a lungo vivacemente e le ricordai che non sopporto le banalità, il politicamente corretto, la rigida e altezzosa compostezza, l’essere sussiegosi.
Mi ripetè due volte che non vi era motivo di ricordarlo, perché ogni volta che leggeva “Valori in Campo” avvertiva il selvaggio spirito del salmone del Nord Europa, quello che va controcorrente.
Eppure mi diceva che, nonostante tale spirito, coglieva nel messaggio del nostro giornale un sereno senso di pace.
Le ricordai che Sant’Agostino definiva la guerra un mancato equilibrio tra due amori.
Probabilmente il nostro giornale cerca l’equilibrio come il salmone che per sfidare la stessa corrente ne ha assoluta necessità o, almeno, aspira ad esso.
Non affrontiamo nei nostri articoli gli argomenti con l’amore interessato o disinteressato per la produzione agroalimentare italiana, neanche con quello dell’appiattimento modaiolo esterofilo, bensì con la curiosa passione della emersione della differenza.
La differenza nella declinazione degli argomenti in “Valori in Campo” è un riferimento, una chiave per interpretare il mondo, la terra.
«La Terra, dall’indoeuropeo tersa, cioè parte secca di un pianeta fatto per il 75% di acqua e sai perché lo identifichiamo proprio con la parte minoritaria? Non per interesse, perché i primi trasporti li abbiamo effettuati tramite le imbarcazioni nel 4000 a.C. in Mesopotamia, poi i Sumeri inventarono la ruota nel 3500 a.C.. Sconfiggemmo la paura dell’acqua per la convenienza della potenza naturale della energie del vento e delle onde. Non lo abbiamo chiamato Terra per convenienza quindi, semplicemente perché era la parte del pianeta dove potevamo esprimerci liberamente, potevamo amare o potevamo scrivere, probabilmente anche mangiare, ma non esclusivamente, considerando che ci nutriamo di liquidi».
«Quindi vuoi dirmi che l’umanità tende ad equilibrare nel lungo tempo gli amori per vocazione naturale?» mi chiese lei.
L’agricoltura si sostituisce alla caccia e al nomadismo quando la donna e i figli dicono all’uomo di fermarsi perché non volevano più errare e l’uomo accettò per amore della famiglia risposi io.
Ci guardammo chiedendoci se ci allontanassimo troppo con la teoria.
Un giorno mi dissi che ero il tuo uomo ideale poi ci dividemmo per pragmatismo sentimentale.
La idealità è nella gerarchia dei valori del nostro giornale al secondo posto dopo la spiritualità, poi, vi è il pragmatismo.
Quando ci dividemmo, allora, non capivamo che il Mondo si ara prima con le idee e poi con l’interesse.
Sono le idealità a fare la storia e non l’interesse.
E’ stato l’amore a fare l’agricoltura, come abbiamo detto, e non la fame.
Comunismo, capitalismo e dottrina sociale della Chiesa sono differenziati da gerarchie diverse dei valori in campo, probabilmente con gli stessi valori.
«Vuoi dire che sono una capitalista sentimentale?>>
Sicuramente non una comunista risposi io.
Rise e la invitai a cena.
Il tramonto sul mediterraneo era sceso, il tavolino rimase lo stesso, arrivarono i menù.
Scelsi un carpaccio di ricciola di Ponza con menta e asparagi, delle percebes della Galizia, un risotto vercellese con zafferano di Città della Pieve e tartare di astice dell’Atlantico settentrionale, un sashimi di calamaro con rughetta ed olio della marinese irpina. Vino : un riesling della Mosella.
«Come non mangi italiano? Non bevi vino italiano? Non scegli il km 0?». Fu il fuoco di fila delle domande della nostra amica.
Mangio prevalentemente cibo italiano, è vero, però gusto il cibo di ogni parte del Mondo, non per globalizzazione ma per tre motivi: per piacere, per interesse e per necessità.
Per piacere, perché vorrei il meglio per me e per tutti e quindi non è detto che solo noi abbiamo le cose migliori.
Per interesse, perché se noi non beviamo anche il vino tedesco, che è delizioso, perché i tedeschi dovrebbero bere il nostro?
Terza cosa, per necessità, cioè per salute. Prima quando le merci si muovevano poco vi erano tanti problemi sanitari dovuti alla alimentazione, solo per citare lo scorbuto o la pellagra, e vi era una aspettativa di vita inferiore. Parlare di Km 0 spesso è uno slogan non salutare, probabilmente è una autarchia alimentare che nessuno potrebbe permettersi.
Ecco, “Valori in Campo” ambisce alla promozione di una cultura del cibo autenticamente europea, dei contadini europei e dei pescatori europei, dove gli italiani si sentano eccellenti, ma non superiori, così come i nostri chef.
Certamente siamo europei che non possono ammettere l’aberrante nutri-score voluto dalle multinazionali con finte battaglie salutiste.
Italiani che riconoscono e costruiscono una Europa articolata su comunità e cooperazione dove la persona è tale in quanto nodo di relazione sociali e non individuo economico in un consumo senza gusto e neanche amore.
Una componente europea cristiana e con la bussola del cristianesimo senza pregiudizi o remissioni come autenticamente la nostra religione ci ha sempre insegnato liberamente, rispettando le differenze, perché senza di esse vi è la indifferenza.
«Sei un fiume in piena ormai» mi disse sorridendo con gli occhi.
Volevo semplicemente raccontarti cosa pensavamo quando lanciammo “Valori in Campo”, il nostro Magazine.
Un giornale che non è aclista, ma che è di tutti coloro che vogliono raccontare il proprio pensiero e il proprio lavoro alle ACLI e tramite le ACLI, una vetrina, un forum, un simposio.
Ascoltiamo la musica di un dj, i nostri pensieri scorrono sulle onde del Mediterraneo, si illuminano con le stelle dell’Argentario, soffia nel vento e nei granelli di sabbia della Duna du Pilat dal Golfo di Biscaglia ai Dardanelli, per noi due è un’altra serata, probabilmente è quella ideale, lo è.
Il mio Amico non scese più, in questi pensieri c’è anche molto del suo, probabilmente contesterebbe la mia interpretazione, ma nella gerarchia dei ”valori in campo” l’amicizia non si discute, è scritta.
Un giorno scrissi che Taormina e Las Vegas erano entrambe sorprendenti, ma la differenza è nell’interruttore della luce, spegnetelo, e rimane solo Taormina, questa è la visione culturale esemplificata dei nostri valori in campo, la vera civiltà, il benessere, il progresso sociale.
È la differenza tra la idealità e la provocazione, tra complessità e la esemplificazione, tra il ragionamento e lo slogan, tra l’identità e il relativismo, tra l’originalità e la banalità.
Non abbiate paura non mi sono perso la nostra amica, il testo l’avevo già scritto prima di incontrarla.
La cultura è alla base di ogni coltura, come si dissero in famiglia i primitivi che scelsero di vivere in una comunità stanziale.
Buona lettura,
Nicola Tavoletta